Confrontando la quota di aiuti pubblici allo sviluppo con le rimesse inviate in patria dagli immigrati (dati I semestre 2015), si può notare come lo sforzo di quest’ultimi sia molto più alto rispetto a quello dello Stato.
Nel dibattito attuale sull’emergenza migranti, una delle proposte più frequenti è quella sintetizzata dallo slogan “aiutiamoli a casa loro”, inteso come una possibilità concreta per limitare l’immigrazione irregolare e le problematiche ad essa connesse. Pur considerando questa proposta teoricamente valida almeno nel lungo periodo, essa si scontra con la difficoltà di convincere politica ed opinione pubblica alla necessità di stanziare fondi per lo sviluppo di paesi terzi, togliendo inevitabilmente risorse pubbliche alle urgenze locali. Una recente indagine Eurobarometro sulla cooperazione allo sviluppo evidenzia questa contraddizione: l’80% degli italiani ritiene importante sostenere le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, ma solo il 55% si dice favorevole ad aumentare gli aiuti.
Sul fronte degli aiuti allo sviluppo, i dati OCSE evidenziano come gli investimenti pubblici non rappresentano una priorità per i governi della vecchia Europa, nonostante già nel 2000 si fosse fissato l’obiettivo dello 0,70% del PIL (in occasione della definizione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio ). Crescono, invece, paesi emergenti come gli Emirati Arabi, al primo posto per quota di PIL investita.
Sul fronte italiano, la quota di PIL investita in aiuti allo sviluppo (appena lo 0,16%) è invariata da molti anni, ben al di sotto della quota stabilita nel 2000.
Leggi l’articolo di Rossella Cadeo su Il Sole 24 Ore del 12 Ottobre 2015. download